Mi sembra giusto ricordare a tutti e tutte il senso della nostra lotta ... per questo ho scelto uno dei video che girano sulle varie reti (questo è dell'area dei comunisti uniti)
Sinteticamente si spiega il perchè dobbiamo continuare a lottare ... per difenderci e nel nostro caso per continuare a diffondere il progetto dell'USI ... per radicarlo sui posti di lavoro e nel sociale .... un progetto svincolato anche dai limiti di partiti e partitini (che pure nel caso quì riportato sostengono le lotte operaie) ... perchè l'autorganizzazione e l'autogestione sono l'unica soluzione per chi come dice il subcomandante marcos vuole che il mondo di sotto rovesci quello di sopra .... e perchè la classe lavoratrice, gli sfruttati gli emarginati ... cambino con le lotte questo modello sociale ... sconfiggano il mostro del sistema capitalistico ... Intanto per prepararci alle nuove lotte e ai nuovi impegni che ci attendono il prossimo anno ... BUONE FESTE LAICHE E RIVOLUZIONARIE ... Da venerdì prossimo al 7 gennaio gli sportelli sono chiusi e per ogni necessità dovete scriverci una email o inviarmi un sms ... (perchè alla fine anch'io chiudo il cellulare per riposarmi qualche giorno)
"Lavorare meno per lavorare tutti". Intervento del comitato Resistenza Operaia (Irisbus)
Pubblichiamo il video ed il testo realizzati dai compagni del Comitato Resistenza
Operaia in occasione di un incontro pubblico tra lavoratori e studenti
tenutosi all'Università Orientale di Napoli lo scorso 13 dicembre.
È solo una paginetta, ma leggendola (o ascoltandola) ci si accorge subito di essere di fronte ad un piccolo, prezioso compendio.
Si parte tracciando i confini, quelli del chi, del noi e del loro, dell'amico e del nemico. Si individua il dove questa storia (che è storia di lotta di classi, ovviamente) ha luogo. Si analizza il quando,
guardando sì al presente ma inserendolo in un percorso temporale assai
più lungo del singolo momento, restituendoci così una continuità che ci
permette di capire cosa debba intendersi per antico, vetusto, obsoleto e cosa invece per nuovo, attuale, moderno. E lo si fa a partire da una riflessione
sul come comunicare, iniziando dalle parole che potremmo e dovremmo utilizzare. Si parla di unità dei soggetti sfruttati, della classe,
ma indagando ciò che strutturalmente nel modo di produzione in cui
viviamo unisce e non a partire da un mero desiderio, frutto troppo
spesso di un sincero ma infecondo volontarismo. E infine ci si interroga
su possibili direzioni di lavoro, sul perchè e per cosalottare.
Un
testo tanto pregno che ogni paragrafo andrebbe sviluppato, allargando
gli infiniti squarci che offre. È questo il nostro invito alla lettura.
Affinché sia un piccolo strumento per arricchire le nostre riflessioni e
le nostre pratiche e non semplicemente testimonianza di qualcosa di
bello e commovente, ma destinato alla sconfitta. Perchè siamo ancora in
tanti che, pur in tempi bui, continuiamo a sognare, cerchiamo cioè di 'vedere' e 'far vedere' ciò
che ancora non è pur essendo già contenuto nel movimento incessante della materia sociale.
Cari
compagni e care compagne, è quasi inutile presentarci perché quasi
tutti ormai ci conoscete, siamo qui in rappresentanza del comitato
“Resistenza Operaia”, un comitato autonomo e spontaneo fatto di
cittadini e operai Irisbus.
Ricordate la Irisbus?
È quella fabbrica situata in provincia di Avellino e che produceva autobus per il trasporto pubblico.
È
davvero triste che dobbiamo usare il termine “produceva”, ma questa è
la realtà e dobbiamo dire che la nostra fabbrica ora è chiusa per
volontà della Fiat, della politica e dei governi che in questi anni si
sono succeduti. Ebbene noi siamo già al secondo anno di cassa
integrazione per chiusura dello stabilimento grazie, o meglio, a causa,
di un balordo accordo sindacale che ha permesso a fiat di barattare 9
lettere di contestazione disciplinare con la chiusura e il licenziamento
collettivo di 700 lavoratori.
Un
accordo fatto passare anche per una finta consultazione operaia, perché
nella nostra storia il sindacato non è mai riuscito, o non ha voluto
dare una linea di lotta precisa da seguire e quindi, come spesso accade,
si è fatta passare una “truffa” per consultazione democratica.
Comunque,
nonostante tutto abbiamo deciso di non arrenderci e di continuare ad
incalzare a proporre a lottare. Ma prescindendo dalla nostra individuale
esperienza in questo anno e mezzo abbiamo imparato tante cose, abbiamo
capito le finzioni, i raggiri, le contrattazioni su tavoli diversi: uno
pubblico e partecipato e l’altro privato, nascosto, dove il compromesso e
la voce della fiat fanno da padrone.
Abbiamo capito anche che però,
nonostante la finta modernità gridata dai padroni noi facciamo parte di
una categoria che può contare se unita, noi facciamo parte di una
“classe” che può anche cambiare le sorti che ci hanno
assegnato, che può ribaltare gli scenari e costruire un mondo più
giusto dove l’equità sia a rialzo e non tesa alla mortificazione dei
diritti e allo scontro inutile tra generazioni.
Facciamo parte di
una “classe” e dobbiamo gridarlo forte e capirne il senso, senza avere
paura di “muri” caduti (ovviamente mi riferisco al muro di Berlino) che
pretendono di aver cancellato le parole sostituendole con altre che non
sanno di niente, e che parlano una lingua che appartiene a troppi, ai
lacchè, ai “benpensanti” ai poltronisti di professione meno che a noi.
Ecco
perché come primo passo verso l’unità e il cambiamento dobbiamo
riappropriarci dei nostri termini, delle nostre parole, della nostra
lingua che parla di “padroni”, di “sfruttamento”, di “lotta”, di
“classe” che sono gli unici termini progressisti, rivoluzionari e
riformatori che oggi esistono.
Tutto il resto è vecchio e stantio e puzza
di acido fenico.
E
allora cominciamo a recuperare la struttura del nostro linguaggio dalle
parole di qualcuno più colto di noi perché, forse, ci credeva di più e
cominciamo a dire e a riflettere sulle parole di Antonio Gramsci che
scriveva:“nella fabbrica ogni proletario è condotto a concepire se
stesso come inseparabile dai suoi compagni di lavoro: potrebbe la
materia informe accatastata nei magazzini circolare nel mondo come
oggetto utile alla vita degli uomini in società, se un solo anello
mancasse al sistema di lavoro nella produzione industriale?” e se
l’operaio di una fabbrica, come dice Gramsci, è la cellula di un solo
corpo
allora vuol dire che per evitare amputazioni, per reagire al sopruso e
allo sfruttamento è necessario legare una cellula all’altra, una
fabbrica ad un’altra, una città ad un’altra e una nazione ad un’altra
nazione, questa è la “classe” ed è quindi necessariamente nazionale ed
internazionale e il suo fine è la lotta per l’emancipazione dal
capitalismo industriale e finanziario.
Non
è più pensabile quindi che si continui a parlare di “competitività”
anche da parte di qualche cosiddetto sindacato di lotta, perché dire che
bisogna mantenere le fabbriche aperte puntando sulla competitività vuol
dire salvarsi momentaneamente per affossare altri compagni, vuol dire
offrire un palliativo nazionale ad una crisi che è mondiale, vuol dire
che non si vuole lottare per la vera emancipazione e quindi contro il
capitalismo di cui tanto si parla ma si vuole solo anestetizzare la
forza lavoro che è mondiale e la cui vita dipende dalla salvezza
collettiva degli sfruttati contro gli sfruttatori, altrimenti rischiamo
di
fare la fine del cane che si morde la coda perché ci sarà sempre
qualcuno più competitivo di un altro.
E allora che fare? Unire le
esperienze, studiare i modi e il sistema per reagire, è un lavoro duro e
lungo, ma necessario e possiamo iniziare a mettere qualche tassello.
Possiamo
ad esempio cominciare a dire che questa crisi è prodotta dal
capitalismo e dai padroni, è una crisi di sistema per cui è il sistema
che deve essere cambiato, poco conta il cambio di ministri se questo
cambio non porterà un cambio di rotta, poco conta quale esecutivo avremo
se chi si propone a guidare la macchina dice di voler continuare a
nutrire con continue flebo questo mostro parassita e agonizzante che è
lo spread, la finanza, le banche, il capitale.
C’è bisogno di eutanasia per questo sistema che altrimenti ucciderà noi.
C’è
bisogno di un cambio di rotta, c’è bisogno dell’assalto ai granai
perché non è più possibile sentire che il 90% della ricchezza è detenuto
dal 10% della popolazione e a pagare siamo sempre e solo noi, operai,
studenti disoccupati. Allora è inutile girarci attorno e parlare di
altro, dobbiamo rispondere alla crisi non chiedendo nuovi padroni che
sostituiscano i vecchi, ma dobbiamo chiedere che le fabbriche
strategiche ritornino allo Stato, dobbiamo pretendere semplicemente ciò
che ci spetta, scuola efficiente e pubblica, sanità senza se e
senza ma, perché la salute non si delega e non si mercanteggia, lavoro
non come merce ma come diritto.
Dobbiamo ribellarci alle logiche
finanziare e cominciare a rimettere al centro della discussione sulla
questione lavoro la necessità ed io direi l’urgenza di parlare, cercare,
pretendere la riduzione di orario di lavoro a parità di salario e senza
l’aumento della produzione. Questo è l’unico modo perché chiunque possa
avere la sua possibilità, si diceva un tempo “lavorare meno per
lavorare tutti “ è questa, ancora oggi, l’unica possibilità di
salvezza.
Ridurre l’orario di lavoro avrebbe un significato ancora
più grande perché ci darebbe l’occasione di vivere la nostra vita, di
riappropriarci dei nostri spazi e delle nostre attitudini.
Solo
così avremmo il tempo per sognare, per pensare, per amare, per leggere,
per essere cittadini dignitosi di un mondo che altrimenti diventerebbe,
come sta già succedendo, più una gabbia che una casa!
13 dicembre 2012
Resistenza Operaia… e la Lotta Continua
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